Mons. Delpini annuncia la promulgazione della nuova edizione del Messale Ambrosiano. Nella liturgia, come nella pastorale, si è alla ricerca del “format” giusto per parlare di Cristo ai nostri contemporanei
di Michele Brambilla
Il primo martedì di Quaresima, 20 febbraio, mons. Mario Delpini raduna in Duomo il clero ambrosiano per una celebrazione penitenziale imperniata sul tema della predicazione. L’omelia dell’arcivescovo prende spunto dalle Lettere paoline, molte delle quali scritte in un contesto ostile all’annuncio cristiano. «“Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui”. Ascoltiamo la voce di Paolo che viene dal carcere. Lo hanno arrestato perché lo considerano un pericolo per la società, un disturbo per la religione civile del tempo, un fastidio per i benpensanti, un attentatore alla tranquillità dell’impero», così come accade oggi a molti cattolici nel mondo.
Ma sempre «oggi possiamo riconoscere la nostra vocazione con occhi nuovi: la vocazione santa è stata rivelata ora, con la manifestazione del Salvatore nostro Cristo Gesù. La grazia di Emmaus si rinnova oggi: si aprono i nostri occhi e riconosciamo Gesù allo spezzare del pane: lo spezzare del pane che abbiamo celebrato stamattina o che celebreremo stasera. Ecco la luce che illumina la nostra vita: Gesù è vivo, Gesù è presente, Gesù ci fa ardere il cuore spiegandoci le Scritture». Il mondo crede di trovare qualcosa di nuovo nella monotonia del peccato, noi riconosciamo l’autentica novità della fedeltà di Dio, che nella pienezza dei tempi mandò il Figlio a fare nuove tutte le cose nella sua Pasqua.
In quest’ottica bisogna guardare l’annuncio, che mons. Delpini colloca proprio all’interno della celebrazione penitenziale quaresimale del clero, della prossima promulgazione di una nuova edizione del Messale Ambrosiano. Nel 2008 era, infatti, stato introdotto l’attuale Lezionario, che ripropone la scansione dell’anno liturgico conosciuta fino al 1976 (sebbene con un ordinamento delle letture ampliato), ma il messale era rimasto quello del primo stadio della riforma liturgica. Un messale che si era voluto fedele alla tradizione di sempre, soprattutto dal punto di vista testuale e dottrinale, sotto la supervisione di personalità del calibro dello stesso card. Giovanni Colombo e dei due Biffi, Giacomo (il futuro arcivescovo di Bologna) e Inos, ma disponibile ad accogliere anche qualche spunto romano, come il Tempo ordinario, per avvicinarsi all’uomo contemporaneo.
Un’analisi attenta e dettagliata del Messale Ambrosiano e delle sue vicende storiche richiederebbe fiumi di inchiostro. Su queste colonne basti accennare al fatto che la promulgazione ufficiale avverrà il Giovedì Santo e la nuova edizione entrerà in vigore dall’Avvento 2024. E ricordare il contesto culturale in cui avviene la promulgazione. Come ricorda lo stesso arcivescovo il 22 febbraio, in dialogo con il patriarca della martoriata Gerusalemme, l’arcidiocesi di Milano «è una Chiesa capillare, che fa tante cose, ma che vive in una realtà in cui la gente sembra fare a meno di Dio, di Gesù, della speranza della risurrezione. Siamo ovunque con la Caritas, i volontari, gli oratori, ma», troppo spesso, «non per annunciare Gesù risorto»: si tende a fare semplice aggregazione, mentre «dobbiamo essere testimoni e missionari» nei nostri ambienti di vita. Le varie riforme liturgiche hanno (o dovrebbero avere) come scopo una sempre più efficace diffusione della Grazia sacramentale. Ecco perché oggi, più che mai, lex orandi, lex credendi.
Lunedì, 24 febbraio 2024