Celebrando i 35 anni della Fondazione Exodus di don Antonio Mazzi, mons. Mario Depini pronuncia un’omelia che va ben al di là dell’associazione festeggiata e rappresenta la prima reazione dell’arcidiocesi di Milano ad una valanga eutanasica cominciata proprio all’interno dei suoi confini canonici.
di Michele Brambilla
La Fondazione Exodus dell’ottuagenario don Antonio Mazzi celebra dal 26 al 29 settembre il suo 31° capitolo, che vuole anche adeguatamente festeggiare il 35° anno di istituzione. Tra i momenti salienti del capitolo si inserisce una Messa solenne, celebrata in S. Ambrogio nel pomeriggio del 27 settembre dall’arcivescovo di Milano alla presenza anche del sindaco Giuseppe Sala, commosso dalla testimonianza di don Mazzi. «Don Mazzi», dice Sala, «incarna lo spirito di Milano; pensare alto ma con i piedi per terra. A lui va la mia riconoscenza».
Tuttavia l’Italia sta vivendo ore particolarmente oscure. Giusto due giorni prima la Corte Costituzionale ha di fatto depenalizzato il suicidio assistito con una sentenza assai confusa emessa su un caso, quello del dj Fabiano Antoniani, che ha avuto origine nel 2017 proprio a Milano e sul quale ai tempi si era già espresso duramente il card. Angelo Scola. Ora tocca a mons. Mario Delpini prendere la parola dal pulpito della basilica. L’omelia ruota interamente attorno al concetto di “qualità della vita”: «Alcuni pensano che la qualità della vita dipenda dal passato, da quello che c’è stato prima: “se hai fatto del bene, sei buono; se vieni da una famiglia ricca e benestante, hai quello che vuoi, se hai fatto del male, stai male, se hai fatto degli sbagli nella vita ne porti il peso”».
E’ il caso di moltissimi ospiti di Exodus, tuttavia l’arcivescovo vuole andare più a fondo nella questione. «Alcuni pensano che la qualità della vita dipenda dalle condizioni presenti: dalla salute, dalla compagnia, dall’ambiente in cui ci si trova: “Chi sta bene vive bene, chi è malato vive male”». Mons. Delpini riconosce che «In un certo senso, questo è ovvio perché la buona salute, la gente benevola o l’ambiente inquinato condizionano lo stato d’animo e la qualità della vita». Non è un caso che a pensare al suicidio assistito siano soprattutto i malati più abbandonati, per i quali lo Stato ha predisposto di recente anche le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. L’arcivescovo prende le distanze anche da questa concezione di programmabilità del futuro. Il futuro appartiene al Mistero: «Il Signore ci salva con la sua magnanimità e la sua promessa alimenta un’adesione piena di consolazione. Nel passato non c’è niente di irrimediabile perché tutto può essere perdonato. La speranza, suscitata dalla promessa di Dio, è un motivo per vivere il presente e uno sguardo che si rivolge al futuro come giorno di Dio. (…) Ciascuno può essere il protagonista della propria vita, che sia sano o malato, che sia nella Comunità o fuori. Tu puoi scegliere il bene».
Lunedì, 30 settembre 2019